martedì 8 aprile 2014

Friburgo: la mia prima maratona.



Domenica 6 Aprile. Una giornata tanto attesa, tanto desiderata, e pure un po’ temuta. 42 km non sono una passeggiata, per niente: è una strada fottutamente lunga ed è una distanza che va amata e al tempo stesso rispettata. Per me poi, è una prima assoluta: mai ho percorso infatti questa distanza su asfalto (qualcosina infatti avevo già fatto su sentiero, ma è ovvio che non si tratti proprio della stessa cosa). Così la notte trascorre tra emozioni e pensieri, e soprattutto con un irrefrenabile desiderio di correre.

 La sveglia suona abbastanza presto, per andare a Friburgo c’è da fare una quarantina di minuti di treno. Ad ogni stazione poi, imbarchiamo gente con borsoni e zaini o addirittura già vestita da corsa: il treno si riempie così di endorfine che quasi fanno vibrare i finestrini.

Eccoci alle 9 circa, alla Fiera di Friburgo, quartier generale dell’organizzazione e sede di partenza e arrivo della manifestazione. Oggi corriamo in tanti: infatti si disputano allo stesso tempo la maratona, la mezza-maratona, la staffetta 4x10 km e la corsa delle scuole di Friburgo (cosa c’è di più bello che vedere i bambini che corrono: fantastici!).

Ore 10: tempo di cominciare a vestirsi: pomatina sui piedi, si indossano le scarpette, e si fanno ancora due parole con gli altri corridori (e vabeh lo dico: c’è anche tempo per dare l’acqua ai fiori).   

Ore 10:30, ormai manca una mezz’oretta alla partenza: è tempo dunque di entrare in questi grandi blocchi (o griglie, o ammucchiate) che l’organizzazione ha predisposto in base ai tempi di percorrenza previsti da ciascun runner. Si va quindi dal blocco A riservato ai top runner e a tutti quelli che pensano di stare sotto le tre ore, sino al blocco C, dedicato invece a chi se la prenderà più comoda oppure più semplicemente a chi non ha nessuna idea di quanto ci metterà; senza contare ovviamente, l’allegra immensa truppa di tapascioni goliardici e rilassati, tra i quali certamente mi inserisco anche io.

Wow, l’emozione ora sale per davvero, lo speaker tuona parole di incitamento come neanche a Norimberga, risuonano tutto intorno le note di Happy (questo tizio ha pescato veramente il jolly della vita con questa canzone) e pure io mi avventuto in qualche passo di danza pseudotribale (tranquilli, non esistono filmati, né abusivi né autorizzati: la storia del ballo è fortunatamente salva!).

Via il blocco A, dopo 10 minuti tocca al gruppo B, e finalmente alle ore 11:20, tocca a noi: si parte!





Un immensa marea umana, si calcoleranno circa 10000 (diecimila) persone alla partenza, muove così verso le strade e i viali di Friburgo. Tutto intorno a me, magliette colorate, scarpe da running all’ultima moda, gente sudata o già ansimante e pure qualche zuzzurellone vestito da giraffa o da bottiglia di birra (maledetti, mi hanno rubato l’idea che avevo per una delle prossime volte): tutti insieme, un fiume di endorfine e gioia di correre, inarrestabile, bellissimo. I primi 5-6 km scorrono così velocemente, ma c’è comunque il tempo di godersi i mini concerti delle bande rock agli angoli delle strade (se ne conta circa una ogni 2 km), e anche ovviamente per gustarsi un primo bicchiere di Sali ai ristori. La giornata è calda, e promette di essere ancora più torrida via via che seguiranno le ore. Io ho scelto un semplice maglietta e pantaloncino, e borraccia a mano, ma vedo che alcuni compagni di corsa sono vestiti come la calza della befana, non abituati forse a temperature così tardo primaverili in questo periodo dell’anno. Ma chissenefrega tutto sommato, siamo tutti ballo, e balliamo allora! Al 6° km, l’incontro piacevolissimo con W., amico tedesco e socio onorario del Terzoristoro (a proposito, ovviamente sto correndo sotto le insegne ufficiali della mia crew "Terzo Ristoro JTTCC", e anche questo mi sta spingendo verso il sogno dei 42,195), nonché runner con i controc@@zi, che oggi però fa il tifo a bordo strada: un grande abbraccio, un bell’ incitamento che da carica, e si continua verso il centro storico.  Ogni curva, ogni angolo, è un inferno di tifo come neanche alla Bombonera di Buenos Aires: applausi, urla, cartelli, tifo sfrenato al quale tutti (chi più chi meno) rispondiamo e del quale ringraziamo: io ovviamente, da buon terzoristorista, in più benzinaio di adrenalina fino alle orecchie, incito a mia volta i tifosi con latrati ed esultanze di vera felicità, e tutti insieme ci sentiamo pervasi di un’energia davvero inarrestabile. Ora stiamo costeggiando il fiume e risalendo verso la parte più interna della città: è una zona verde, si corre su una pista ciclabile, ai lati vi sono campi da tennis e da beach volley, e ci sono già ragazzi intenti a prepararne il terreno per un super pomeriggio di sport: siamo tutti lì fuori, per lo stesso motivo: sudare, darci dentro, vivere in pieno la nostra passione. Passaggio su un paio di ponti, gruppi rock che spaccano i timpani, e tifo impazzito. Ah, dimenticavo: la cosa più bella riguardo al tifo, il piacere unico di battere il “cinque” ai bambini a bordo strada: fantastici, tutto il giorno ad applaudire e a incitarci con sguardo quasi sognante, come a dire: “un giorno lo faremo anche noi”: fantastico, tutta benzina in più per la nostra grande avventura. Tratto di ritorno (verso il 14° km) e si passa vicino alla fabbrica (non so se ancora in uso) della birra Ganter: momento di commozione e di emozione, ma ora davvero non è tempo per l’alcool: però non nego che questa visione cominci a far nascere nella mente l’immagine prepotente di una buona IPA fresca da gustare al traguardo oppure alla sera spaparanzato sul divano. Evvai, si rientra nel centro storico: attraverso le grandi porte della città, ci si trova così immersi in un’onda impetuosa di tifo e di gente, e anche il fondo è cambiato: infatti in luogo dell’asfalto, troviamo ora dei grandi ciottoli attraversati dalle rotaie del tram: non facilissimi da correre, ma chisseneimporta: basta ammorbidire un po’ il passo e guardare un filo di più dove si mettono i piedi: non riesco comunque a smettere anche di guardarmi intorno, a volte anche alle spalle, ed ammirare tutti questi runner intorno a me: cavolo, siamo tutti veramente come una grande comunità, e questa grande forza comunque è ben percepibile nell’aria. Si sorride, ce la si gode, la giornata è super: insomma, tutto perfetto.

Km 21: eccoci al passaggio della mezza maratona, che per alcuni è anche il traguardo (infatti il percorso dell’intera maratona conta di due giri del medesimo anello da 21 km). Al bivio, ci si saluta e ci incita (cavolo, i ragazzi della mezza hanno fatto qualcosa di super), mentre noi tapascioni dei 42 km, continuiamo per la nostra strada. E qui accade qualcosa: mi accorgo infatti (ma un po’ lo immaginavo) che siamo rimasti molti, ma molti di meno rispetto a prima. In pratica, oltre a noi maratoneti, ci sono solo gli staffettisti (che sono comunque tanti), ma che ovviamente fanno 10 km a testa in squadre da 4, e in pratica stanno facendo tutt’altra gara. Così, capisco che ora è tempo per “The Game”. 

Giro la visierina all’indietro, faccio un bel respiro, e proseguo. Ora gli incitamenti del pubblico sono più rari, ma più “dedicati”: infatti, la vede meno runner sul percorso, e ne aspetta ognuno per tributargli una ola o un applauso o un qualsivoglia incitamento. E così accade con me: sono “da solo” (nel senso che ora non ho più runner intorno a me) e vedo altri maratoneti solitari davanti, procedere ciascuno col proprio passo. Mi godo ogni singolo metro del mio percorso, e ad ogni grido di tifo, rispondo con un ruggito ancora più forte, perché voglio essere anche io ad incitare il pubblico e a ringraziarlo per tutto questo: ora è una serie quasi continua di “super!” “gut gemacht” (il nostro “good job”) e io stesso nei punti dove il percorso incrocia o avvicina due diversi tratti, incito gli altri runner con “gut gemacht man, “way to go buddy”, e ne ricevo (quasi) sempre un incitamento a mia volta. In questo secondo giro, non vengo più superato da nessuno: continuo ad essere io a recuperare amici runner sul percorso, alcuni camminano (“alles gut mein Freund?”) altri cominciano a essere un po’ stanchi, altri semplicemente hanno voglia di andare tranquilli. Io ormai sono “in the zone”, e quando vedo il cartello del 30° km, comincio a spingere ancora di più (sento l’odore del traguardo – o meglio delle salsicce che stanno alle bancarelle del traguardo).



Altro passaggio nel centro storico (saremo circa al 38° km in questo secondo giro), e stavolta vengo anche preso bene da uno dei fotografi ufficiali della gara. Sempre più esaltato, sempre più felice di tutto questo. Che spettacolo, in me ormai si fa strada l’idea di avercela quasi fatta (conoscere poi “la strada”, nel senso dell’aver già fatto tutto il giro, in effetti aiuta non poco, perché sai comunque cosa ti aspetta). 41° km: in lontananza, la musica e lo speaker che accoglie gli atleti alla linea d’arrivo: un casino immane, ma fantastico. Adesso bisogna davvero dare tutto: testa bassa, stringo i denti, e mi faccio spingere dal tifo sempre più assordante. Ultimo ponte, ultima curva a destra, e rampa finale in discesa verso il traguardo: la gioia adesso è veramente incontenibile, non capisco più niente: corro a tutta, rush finale, applaudo io il pubblico che mi accoglie, urlo come un esaltato, mi batto la mano sul cuore e guardo il cielo, taglio finalmente il traguardo. E finalmente, mi faccio travolgere dalla forza di tutto ciò, dall’energia che vibra nell’aria, da tutto.




 Bellissimo, impagabile, indescrivibile. Insomma, corsa.


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